Il racconto giuridico di una tragedia, quella che ha visto la morte di una persona che ha tentato vanamente di difendersi dall'aggressione da parte di tre cani di razza corso fuggiti attraverso un varco apertosi in una rete di recinzione di una proprietà. Lo sfortunato passante, raggiunto dai morsi dei cani in varie parti del corpo, in preda al panico tenta di fuggire verso il vicino letto di un fiume, precipitando al suo interno dopo aver impattato contro gli arbusti presenti sull'argine. Il violento shock causato dalle gravi lesioni riportate a seguito dei molteplici morsi ricevuti e dall'impatto con l'acqua notevolmente fredda determinano una perdita di coscienza con conseguente morte per annegamento. I detentori dei cani, due coniugi di cui uno solo proprietario degli animali, vengono condannati in primo e secondo grado perché riconosciuti colpevoli del reato di concorso in omicidio colposo (invero il coniuge proprietario sceglierà il patteggiamento). Il coniuge non proprietario dei cani ricorre in Cassazione non ritenendo sussistente la catena indiziaria a suo carico che difetterebbe di quella univocità e concordanza degli indizi tale da poter determinare il convincimento in ordine alla certezza del fatto oltre ogni ragionevole dubbio.
Volendo sintetizzarli: non vi sarebbe prova diretta circa l'identità dei cani o del cane aggressore che in ogni caso non sono e non è quello della moglie del ricorrente bensì uno dei cani randagi presenti in quella zona. Ciò sarebbe avvalorato da alcuni elementi richiamati dal ricorrente quali: a.) l'aggressione avvenuta in un luogo che pacificamente tutti i testimoni hanno qualificato come sede permanente di cani randagi dì ogni razza (come peraltro dimostrato da video e foto depositati dall'imputato); b.) dal rapporto di prova del DNA della d.ssa M.M. è emerso che il DNA dell'animale artefice dei morsi era compatibile - nella misura del 16,6% - con uno solo dei cani detenuti dall'imputato e non con gli altri due; c.) i cani aggressori, stante i morsi sulla vittima, erano più di uno; d.) Perché escludere che i cani fossero invece usciti dal cancello lasciato rimasto accidentalmente aperto dalla proprietaria e detentrice dei cani (nonchè coniuge del ricorrente)"; d.) Il ricorrente, come dimostrato in atti, per ragioni lavorative (trasferta) era lontano dal luogo in cui è avvenuta la tragedia e tanto dimostrerebbe che il contestato rapporto di detenzione in relazione ai cani corso di proprietà della consorte sarebbe indiscutibilmente interrotto dalla duratura assenza dall'abitazione per ragioni di lavoro; e) Secondo giurisprudenza di legittimità l'indagine da compiere per fondare la responsabilità (colposa) del proprietario che abbia affidato il proprio cane a terzi (ciò vale tanto più nei confronti dello stesso ricorrente mero proprietario dell'abitazione familiare) è se questi abbia comunque mantenuto effettivi poteri di vigilanza sull'animale. Ma nel caso di specie l'evento dannoso verificatosi non era in alcun modo prevedibile ed evitabile dal ricorrente il quale non poteva certo prevedere, in base ad un giudizio ex ante, che in sua assenza il cancello della propria abitazione venisse lasciato aperto permettendo ai cani di uscire; f.) sotto il profilo di una eventuale ritenuta colpa il proprietario dell'abitazione (qui ricorrente) dopo aver realizzato una recinzione della corte pertinenziale con rete elettrosaldata da costruzione ha ben assolto l'onere di aver predisposto un " idoneo e sicuro recinto per la custodia degli animali' con il conseguente venir meno di qualsiasi responsabilità per colpa avendo quello adottato tutte le cautele idonee ad evitare che i cani potessero divenire fonte di danni a terzi.
La condotta del proprietario del cane (coniuge del ricorrente) avrebbe dunque integrato un fattore sopravvenuto che ha comportato un rischio nuovo e dei tutto incongruo rispetto al rischio originario prevedibile dallo stesso ricorrente e per far fronte al quale l'imputato aveva certamente adottato tutte le cautele di isolamento dell'abitazione idonee ad evitare e prevenire le possibili fuoriuscite dei cani. A tanto si aggiunga, sempre secondo la tesi difensiva del ricorrente, che non è stata fatta alcuna comparazione dei morsi, né alcun esame per verificare se i morsi erano di molossi e se erano compatibili con le mandibole dei cani in questione (è stata esclusa la solo ala compatibilità della lesività riscontrata sulla vittima con morsi di lupi o di altri animali selvatici"). Come anche il fatto che la zona in cui sono stati visti i cani in questione è diversa e distante rispetto a quella teatro dell'aggressione.
L'avere omesso di valutare e di motivare le ipotesi alternative emergenti dagli atti non avrebbe permesso alla Corte territoriale di formulare più di un ragionevole dubbio in ordine al reato contestato.
Preliminarmente la Corte osserva che tutti motivi illustrati dal ricorrente tendono a sollecitare una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità riproponendo le medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Risposte caratterizzate da un impianto argomentativo del provvedimento impugnato che appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice come a superare lo scrutinio di legittimità. Un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Secondo la Corte i giudici del gravame avrebbero dato argomentatamente conto del compendio probatorio che li ha portati a ritenere di confermare l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato. Una doppia conforme affermazione di responsabilità con la quale il ricorrente non si è confrontato criticamente ma si è limitato a riproporre quella che è stata la sua linea difensiva, in fatto, reiterata nel corso dell'intero procedimento. Gli elementi di prova, a carattere indiziario (circostanza questa contestata ed eccepita dal ricorrente) rivestono a dir della Corte il medesimo rango e dignità della prova diretta. Il giudice infatti può fondare il proprio convincimento anche sulla concatenazione logica degli indizi, concatenazione dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso. Per costante orientamento giurisprudenziale, sottolinea sempre la Corte, si pervenire all'affermazione di penale responsabilità di un imputato anche sulla base di meri indizi senza che necessariamente debbano trovare riscontro in altri elementi esterni, allorché gli stessi siano gravi, ovvero attendibili e convincenti, precisi e non equivoci, tali da esprimere l'elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, in cui si identifica il tema di prova, ovvero non suscettibili di altra interpretazione altrettanto verosimile, nonché concordanti, ovvero non contrastanti tra loro ed anche con altri desunti da elementi certi.
E' emerso dalle risultanze processuali che solo i cani detenuti dal ricorrente erano cani corso o comunque molossoidi, escludendosi il possibile coinvolgimento di altri animali, cani di piccola taglia e un pastore abruzzese, di taglia media, pure rinvenuti in altri casolari. E' altrettanto emerso la proprietà del ricorrente era circondata da una rete di recinzione che mostrava un rinforzo di recente realizzazione, come se fosse stato posto un pezzo di rete ulteriore a copertura di un varco sulla rete preesistente.Quanto all'aggressività dei cani e che fossero soliti uscire dall'area recintata, è stato accertato che i cani dell'imputato erano soliti avventarsi contro la rete tentando di uscire. Non solo. In più occasioni i cani dell'imputato, erano stati visti liberi, fuori dall'area recintata.
Sempre sulla base delle risultanze processuali la lesività riscontrata sul cadavere della persona aggredita è stata ritenuta compatibile con morsi di un cane o, ragionevolmente, di più cani, molossoidi e gli unici cani molossoidi presenti contestualmente all'aggressione, liberi fuori dall'area recintata erano quelli detenuti dal ricorrente. E, si aggunge, nessuno dei testi escussi ha visto, quel giorno, cani randagi aggirarsi in quella zona ed è stata esclusa la compatibilità della lesività riscontrata sulla vittima con morsi di lupi o altri animali selvatici.
Elementi, tutti che complessivamente valutati hanno correttamente condotto il primo giudice a ricondurre l'aggressione che ha dato causa al decesso della vittima ai cani detenuti dall'imputato potendosi affermare la penale responsabilità di quest'ultimo per il reato contestato.
Un passaggio importante della sentenza in commento è quello per cui l'imputato risulta dunque aver violato gli obblighi di custodia gravanti sui tre cani, consistenti anche nel prevenire ed evitare le possibili aggressioni a terzi: egli, infatti, pur non essendone formalmente proprietario, viveva stabilmente coi tre animali. La Corte ritiene corretta la valutazione della Corte d'Appello che non ha dubitato della ricorrenza di una posizione di garanzia in capo all'imputato, alla luce della provata relazione di detenzione materiale tra quest'ultimo ed i cani, da lui di fatto gestiti, come emerso incontestabilmente da tutte le informazioni testimoniali; posizione di garanzia che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, prescinde dalla nozione di appartenenza, risultando irrilevante il dato formale relativo alla registrazione dell'animale all'anagrafe canina o all'apposizione di un microchip di identificazione. L'imputato ha violato la regola cautelare che impone al proprietario/detentore di animali uno specifico e stringente obbligo di custodia, adottando ogni cautela per prevenire ed evitare le possibili aggressioni a terzi, soprattutto quando, come nel caso in esame, si tratta di più cani e di indole particolarmente aggressiva. A chiudere l discorso sulla posizione di garanzia del ricorrente la Corte ricorda come il proprietario risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate dall'animale, anche nel caso in cui ne abbia affidato la custodia a persona inidonea a controllarlo.
Rilevante peso ha avuto la non elevata consistenza della rete e l'assenza di un doppio cancello, in modo da limitare i rischi di uscita. E dunque, rileva al Corte, non si è trattato di un incidente isolato dovuto ad una presunta disattenzione estemporanea della moglie, bensì di un'imprudenza sistematica e costante, sintomatica di superficialità nel non predisporre un meccanismo stabile e duraturo di controllo degli animali. Motivo per cui irrilevante è la mancanza di un titolo formale di proprietà, come anche il fatto che nell'ora del tragico evento il ricorrente stesse svolgendo la propria attività lavorativa in un luogo lontano.
Se ne conclude con la irricevibilità del ricorso per inammissibilità dei motivi.