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Notizie Giuridiche

» Cure compassionevoli e nuove terapie: è legalmente possibile chiederne l'uso?
23/02/2024 - Claudia Moretti

Disciplina cure compassionevoli

Con la legge 219/2017 il diritto ad essere accompagnato con la minore sofferenza al fine vita è stato elevato a "livello essenziale di assistenza", diventando un diritto garantito e gratuito su tutto il territorio nazionale. Oggi l'ordinamento, accanto al diritto di rifiutare le cure, al diritto a non subire ostinazione irragionevole delle stesse, al diritto di accedere al suicidio assistito (in presenza delle quattro condizioni enunciate nella sentenza della Corte costituzionale 242/2019) il diritto di redigere il proprio testamento biologico e partecipare alle scelte condivise sulla propria cura, affianca anche il diritto a fruire della terapia del dolore e quello di valersi della sedazione palliativa*.

Parallelamente, nel fine vita, si sono fatte spazio recentemente, per volontà del legislatore eurocomunitario, anche le cosiddette cure compassionevoli (articolo 83 del regolamento UE 726/2004 e DM 7 settembre 2017), ossia quelle scelte terapeutiche finalizzate ad offrire al morente terapie al momento solo sperimentali per la cura della propria malattia, avvalorando così il diritto a tentare il tutto e per tutto (the right to try in ambito anglosassone), se non per guarire, quantomeno per continuare a sperare.

L'ordinamento, in extremis, sopporta l'incertezza – altrimenti non tollerata – derivante dall'uso terapeutico di farmaci o sostanze non ancora approvate, nell'ottica di poter offrire al singolo paziente o a classi di soggetti con la stessa patologia, il "male minore".

E ciò purché si versi nelle seguenti condizioni:

a) non vi siano valide alternative terapeutiche;

b) vi sia pericolo di vita o grave danno alla salute del paziente o si tratti di grave patologia a rapida progressione;

c) non sia in corso una sperimentazione e che dunque non vi sia già un protocollo in atto nel quale inserire il paziente;

d) sussista il parere del Comitato etico della struttura;

e) sia stato espresso il consenso informato;

f) vi sia la prescrizione e dunque che vi sia chi se ne assume la responsabilità medica;

g) esistano dati scientifici anche in base a pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali, che accreditino in qualche modo la terapia.

Psilocibina e terapie psichedeliche

In tale quadro normativo, inserito della cornice costituzionale ed internazionale che vede ai primi posti il diritto alla salute e alla libertà di scelta terapeutica (articolo 32 della Costituzione italiana), oggi a pieno regime (o quasi) anche nel fine vita, le promettenti risultanze della ricerca applicata sulle terapie psichedeliche assistite non possono ritenersi illegittime.

Nello specifico per la psilocibina, tale legittimità non può escludersi neanche alla luce del generico suo inserimento nella tabella 1 allegata al DPR 309/90, o delle previsioni penali ivi previste.

Nei concetti di soppressione e controllo del dolore, ben possono ricomprendersi il dolore esistenziale e psicologico del morente, o la cura compassionevole di un malato di depressione cronica. E ciò può avvenire già oggi in considerazione delle prioritarie esigenze terapeutiche nei confronti del dolore severo, seppur limitatamente alle forme farmaceutiche enterali, inalatorie e transcutanee. Non vi è conflitto, dunque, fra quanto la legge impone/vieta/previene in via generale mediante il mantenimento della psilocibina in tabella 1), e la possibile e legittima adozione, sia mediante un aupicabile atto di normazione secondaria (decreto del Ministero della Salute) a beneficio di tutti, sia di richiesta individuale o per gruppi omogenei di pazienti di un protocollo farmacologico compassionevole (non in vigore sul nostro territorio ma già sperimentato altrove) da attuarsi come cura palliativa, terapia del dolore o cura compassionevole.

Ciò significa che nel bilanciamento del conflitto apparente tra i diversi valori dell'ordinamento giuridico (per semplificare: bene salute/vita/libertà terapeutica del singolo versus ordine pubblico, salute pubblica, e precauzione) il legislatore sia comunitario che italiano ha già scelto, con appositi protocolli di legalità, di allearsi alle ragioni del singolo essere umano che può chiedere, ed ottiene, che siano alleviate le sue sofferenze in modo considerato appropriato e sufficientemente sicuro dalla comunità scientifica internazionale.

E se, come pare dagli incoraggianti studi, ricerche e prime applicazioni, le terapie psichedeliche curano o alleviano il dolore del fine vita in tutte le sue molteplici forme fisiche, psicologiche ed esistenziali, allora esse trovano già oggi anche in Italia una solida cornice normativa, laddove sperimentate con successo altrove ma non ancora introdotte in Italia. Ben possono esser annoverate, infatti, come accaduto in Canada ed in altri Paesi, per adesso quali eccezioni alla regola laddove il singolo ne invocasse l'uso compassionevole.

Conclusioni

Tutti i percorsi del fine vita che sono stati accolti già nel dibattito scientifico internazionale sono legittimi e valevoli di esser introdotti oggi anche nelle pratiche mediche e terapeutiche italiane. E se convincenti, promettenti e relativamente sicuri (nei limiti in cui si tollera l'incertezza anche di altri percorsi del fine vita) occorre portarli sul tavolo istituzionale, non come istanze, appunto, di libertà, ma di pura "legalità". Una ricostruzione delle costituzionalmente orientata delle normative, non lascia, già oggi, spazio ai tentennamenti di fronte al sapere scientifico che attenui le pene del morire, e non solo.


*Le cure palliative (già prima del 2017 regolate con legge 38/ 2010) sono «l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici».

«La terapia del dolore, invece, è intesa come «l'insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore».

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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