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» Covid: nessun reato se non si dice la verità nell'autocertificazione
30/03/2021 - Annamaria Villafrate

Assolto cittadino anche se dichiara il falso nell'autodichiarazione

Il cittadino che viene fermato dalle forze di polizia e invitato a compilare l'autodichiarazione per giustificare il proprio spostamento in pieno lockdown non è obbligato a dire la verità. Deve quindi essere assolto perché il reato di falsità ideologica in atto pubblico non può ritenersi integrato. A stabilirlo la sentenza (sotto allegata) del Giudice Dott. ssa Alessandra del Corvo del Tribunale di Milano, che assolve l'uomo assistito dall'Avv. Maria Erika Chiusolo.

Un'altra sentenza, che dopo quella del Gip Tribunale di Reggio Emilia, assolve l'imputato dal reato di falso ideologico, nonostante le false attestazioni contenute nel modulo di autodichiarazione in cui, in periodo Covid, viene chiesto di riportare i motivi dello spostamento.

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Reato di falsità ideologica in atto pubblico

Un soggetto viene imputato per il reato di cui all'art. 483 cp. "Falsità ideologica commessa in atto pubblico" in relazione al DPR 445/2000. Lo stesso è stato fermato da due agenti ai quali ha affermato falsamente in sede di autodichiarazione Covid di lavorare a Milano e di dover fare rientro al proprio domicilio. Circostanza che però si è rivelata falsa. Al decreto penale di condanna irrogato dal Gip di Milano ricorre il difensore dell'imputato.

Non c'è reato perché non c'è obbligo di dire la verità

Il giudice nella sentenza rileva prima di tutto che esiste un evidente contrasto tra la documentazione probatoria prodotta dal Pubblico Ministero e quella prodotta dalla difesa. Pare infatti che il giorno dei fatti contestati l'imputato si trovasse a Milano per svolgere attività lavorativa. Contrasto che porta a dubitare sulla effettiva falsità di quanto dichiarato dall'imputato al momento del controllo da parte dei due agenti.

In ogni caso, rileva il giudice, non sussistono i presupposti richiesti per l'integrazione della fattispecie di reato di cui all'art. 483 c.p. in quanto deve escludersi che "la norma preveda un generale obbligo di veridicità nelle attestazioni che il privato renda al pubblico ufficiale."

Non solo "il delitto di cui all'art 483 c.p. si consuma, non nel momento in cui il privato rende la dichiarazione infedele, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che la trasfonde nell'atto pubblico. Dunque in tutti i casi quale quello in esame, nel quale l'auto dichiarazione infedele resa dal privato all'atto di un controllo causale sul rispetto della normativa emergenziale - appare difficile stabilire quale sia l'atto del pubblico ufficiale in cui la dichiarazione sia destinata a confluire con tutte le necessarie e previste conseguenze di legge."

Ragionando diversamente si giungerebbe a imporre al privato di dire il vero sui fatti dell'autodichiarazione pur sapendo che potrebbe essere sottoposto a indagini e a sanzioni. Un obbligo di dire la verità che nessuna legge impone e che si pone in contrasto con il diritto di difesa contemplato dall'art. 24 della Costituzione e con il principio del nemo tenetur se detergere perché il privato, scegliendo di mentire per fuggire a sanzioni e incriminazioni, verrebbe comunque punito. Ragioni per le quali l'imputato deve andare assolto.

Si ringrazia l'Avv. Maria Erika Chiusolo dello studio legale Carugo-Chiusolo di Lainate (MI) per l'invio del provvedimento

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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