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Notizie Giuridiche

» Restituzione delle spese legali in caso di riforma della sentenza
26/03/2021 - Fabio Olivieri

Diritto alla restituzione delle spese legali

Il diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno "ex tunc" e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza.

La restituzione non è subordinata al passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello.

Onorari

La restitutio è da intendersi integrale per cui sono da comprendere non solo le spese legali eventualmente liquidate in primo grado, ma anche le eventuali spese/onorari liquidati nella fase esecutiva. Infatti, pubblicata la sentenza di riforma, viene meno tanto l'efficacia esecutiva della condanna resa nel primo grado, tanto la giustificazione degli atti di esecuzione compiuti, siano essi spontanei o coattivi, con conseguente di ripristino dello status quo ante.

In caso di riforma del titolo esecutivo che condanna al pagamento delle spese legali al legale distrattario, l'avvocato è tenuto personalmente alla restituzione di queste somme e cioè anche laddove non sia stato parte del giudizio di impugnazione (né può intervenire nel giudizio di impugnazione – tanto più in caso di contumacia della parte precedentemente rappresentata – a meno che non si controverta anche sulla disposta distrazione, dolendosi soltanto del diritto alla distrazione, ma non della sussistenza del credito ingiunto né della misura delle spese liquidate. Ipotesi questa di difficile verificazione considerato che la parte soccombente non ha interesse ad impugnare il provvedimento di distrazione delle spese emesso a favore del difensore della parte avversa, trattandosi di provvedimento che incide esclusivamente nei rapporti tra detta parte vittoriosa ed il suo difensore).

Sotto il profilo fiscale, la restituzione dell'importo equivalente all'onorario da parte del difensore distrattario nei confronti della controparte processuale, in seguito alla riforma della sentenza che prevedeva la condanna alle spese di lite, non assume rilevanza ai fini IVA.

Nel diverso caso di pagamento delle spese processuali effettuato dalla parte soccombente direttamente al difensore della controparte e da questi direttamente ricevuto, è invece la parte l'unica legittimata passiva dell'obbligo di rimborsare la somma corrisposta al suo difensore in forza di un titolo ormai venuto meno. Poiché, in tale ipotesi, l'avvocato ha agito quale semplice destinatario del pagamento e procuratore della parte vittoriosa.

Formulazione espressa della domanda

La domanda di restituzione essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello.

Però, è bene precisare che:

- se l'appello è proposto successivamente all'esecuzione della sentenza, la domanda restitutoria deve essere formulata, a pena di decadenza, con l'atto di appello;

- qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente all'impugnazione, la domanda di restituzione è ammissibile nel corso del giudizio e fino all'udienza di precisazione delle conclusioni.

Resta in ogni caso inammissibile la domanda di restituzione proposta con la comparsa conclusionale in appello, atteso che tale comparsa ha carattere meramente illustrativo di domande già proposte, non rilevando in contrario che l'esecuzione della sentenza sia successiva all'udienza di conclusioni ed anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle comparse (la domanda proposta con la comparsa conclusionale, però, ho effetto interruttivo della prescrizione del diritto).

Pagamento parziale in corso di causa

Quando l'adempimento, volontario o coattivo, della condanna al pagamento pronunciata in primo grado sia avvenuto in parte prima della proposizione dell'appello e in parte nel corso del giudizio di appello, la domanda di restituzione dell'intero, in conseguenza della riforma della sentenza impugnata, può essere proposta dall'appellante, senza incorrere in decadenza, fino alla precisazione delle conclusioni, atteso che il pagamento parziale non consente di ritenere adempiuta la prestazione della cui restituzione trattasi e considerato che, ipotizzando la necessità di un'autonoma domanda, in altro giudizio, per la parte residua del credito frazionato, si realizzerebbe un effetto inflattivo di moltiplicazione dei giudizi non rispondente al principio costituzionale della "durata ragionevole" del processo.

Omessa pronuncia?

Qualora la Corte di Appello, riformando la sentenza, non condanni alla restituzione pur richiesta, non ricorre vizio di omessa pronuncia per cui è escluso che – solo per questo motivo – possa censurarsi la sentenza in sede di legittimità.

Tanto più che in sede di legittimità non è mai ammissibile una pronuncia di restituzione delle somme corrisposte sulla base della sentenza cassata, neanche nel caso in cui la Corte di cassazione, annullando la sentenza impugnata, decida la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., in quanto per tale domanda accessoria non opera, in mancanza di espressa previsione, l'eccezione al principio generale secondo cui alla Corte compete solo il giudizio rescindente.

Pertanto, ove il pagamento sia avvenuto sulla base della sentenza annullata, va proposta al giudice che ha pronunciato quest'ultima, a norma dell'art. 389 c.p.c., il quale attribuisce alla Corte di cassazione, senza eccezione alcuna, il solo giudizio rescindente.

Decreto ingiuntivo

La restituzione di quanto corrisposto in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva poi riformata in grado di appello, in mancanza di una espressa condanna della Corte di Appello, può essere intimata alla parte anche con decreto ingiuntivo.

Per i principi già espressi, il decreto ingiuntivo avente ad oggetto la restituzione di somme versate a seguito di una sentenza di condanna in primo grado, poi riformata in appello, non può essere opposto – né il giudizio di opposizione può essere sospeso - in attesa della decisione sul ricorso per cassazione proposto avverso la stessa sentenza di riforma, non ricorrendo un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra il procedimento d'impugnazione e quello di opposizione a decreto ingiuntivo, tale da giustificare la sospensione di quest'ultimo giudizio, ai sensi dell'art. 295 cpc.

Termine di prescrizione

Il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado comincia a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, a mente dell'articolo 2935 c.c. e non dal momento, successivo, del passaggio in giudicato della stessa sentenza.

Tale termine è interrotto dalla notifica dell'atto di appello, con effetti permanenti fino al passaggio in giudicato, solo a condizione che in tale atto (o successivamente, in caso di esecuzione avviata dopo la proposizione dell'impugnazione) sia stata espressamente formulata la richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado.

In assenza di tale domanda, infatti, non può operare automaticamente l'effetto interruttivo previsto dal combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., in quanto il diritto alla restituzione non ha alcuna correlazione con lo specifico rapporto controverso in appello, trovando la sua fonte in un fatto nascente dal processo (l'avvenuta esecuzione di un titolo giudiziale poi riformato), che potrebbe del tutto mancare (o, comunque, sopravvenire) al momento dell'impugnazione, con la conseguenza che tale fatto deve essere autonomamente portato alla cognizione del giudice di appello.

Dunque, in mancanza di domanda espressa di restituzione ovvero di riserva – o di altro atto di messa in mora eventualmente stragiudiziale - il diritto alla ripetizione di quanto versato in esecuzione della sentenza riformata potrebbe essere già prescritto qualora il pagamento fosse ultradecennale.

Interessi

La ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, non si inquadra nell'istituto della condictio indebiti di cui all'art. 2033 cod. civ., dal quale differisce per natura e funzione, non venendo, tra l'altro, in rilievo gli stati soggettivi di buona o mala fede dell'accipiens.

Poiché, come detto, il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza. Pertanto, gli interessi legali devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento.
Avv. Fabio Olivieri,
via Ischia I, 305 Grottammare (AP)
fabio.olivieri@live.com
fabio. olivieri@ordineavvocatifermopec.it
[Fonte: www.studiocataldi.it]

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