Il
PIL costituisce il
fattore di rivalutazione nel metodo di calcolo contributivo. La Legge 8 agosto 1995, n. 335 di "riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare" (c.d. riforma Dini) ha introdotto il sistema di calcolo contributivo, disponendone la totale applicazione nei confronti di tutti gli assicurati a decorrere dal 1° gennaio 1996.
La transizione al modello contributivo è stata completata con l'entrata in vigore del
Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. riforma Fornero) che ha esteso il sistema contributivo a tutte le anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, con applicazione del calcolo "pro rata".
Tasso di capitalizzazione
I contributi accantonati (c.d. montante) vengono convertiti in rendita attraverso coefficienti di trasformazione calcolati in ragione dell'età di pensionamento e della conseguente attesa di vita. In particolare, sulla rivalutazione annuale del montante contributo accumulato del lavoratore, incide anche la crescita della ricchezza del Paese, dunque la rivalutazione è collegata all'andamento del cosiddetto prodotto interno lordo (PIL).
La rivalutazione dei montanti contributivi avviene in base a un
tasso di capitalizzazione dato dalla variazione del prodotto interno lordo nominale nei cinque anni precedenti, comunicato annualmente dall'ISTAT. Pertanto, il
PIL di quest'anno influenzerà, in particolar modo, la rivalutazione contributiva di coloro che andranno in pensione dal 1° gennaio 2022.
Tagli e mancato aumento degli importi
Da un lato si assisterà, dunque, alla
mancata crescita delle pensioni a causa dall'andamento del
PIL e della crescita pari a zero. Ciò avrà, inoltre, un impatto penalizzante sugli assegni di coloro che andranno in pensione nei prossimi due o tre anni.
In particolare, coloro che lasceranno il lavoro dal 2023 saranno influenzati anche dal
PIL del 2021, anch'esso probabilmente più basso delle attese: nonostante si confidi in un "effetto rimbalzo", ovvero in una leggera crescita, non è detto che ciò avvenga qualora si dovesse prolungare il blocco dell'economia.
Gli scenari non sono confortanti e si parla di "tagli" degli assegni fino al 2,5-3% già nel 2023 e, qualora la situazione dovesse permanere nel tempo o accentuarsi in mancanza dell'auspicato "rimbalzo", secondo i calcoli si potrebbe arrivare addirittura a un alleggerimento fino al 6,7%.
Si rammenta che l'impatto inciderà solo sulla quota contributiva dell'assegno, poiché quella retributiva resta correlata al livello della retribuzione e agli anni di svolgimento dell'attività lavorativa, dunque per verificare l'impatto andrà verificato l'incidenza del contributivo sulle singole
pensioni (qualora si ricada nel sistema retributivo, contributo o misto).