Il provvedimento impugnato, invece, ha osservato che la responsabilità penale sussisteva comunque a carico dell'odierno ricorrente, ancorché in giudizio fosse stato allegato l'esercizio di un'attività autorizzata di caccia alla nutria nei termini previsti e consentiti dalla legge regionale
Nel dettaglio, la Corte d'Appello ha ritenuto non fosse stata fornita prova di siffatta connotazione dell'attività venatoria, osservando altresì che il comportamento del ricorrente (in sé teso a ostacolare le attività di accertamento da parte degli organi intervenuti della Polizia provinciale) e lo stesso contenuto del provvedimento autorizzatorio (del tutto generico e tale da non consentire alcun effettivo controllo della specifica rivendicata attività) confermavano l'illiceità della condotta. Tra l'altro l'attività in questione era stata da tempo sospesa per decisione unanime dell'organo locale di vigilanza.
Vie vicinali comprese nelle vie pubbliche
Quanto all'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 703 cit., precisa la Cassazione, da un lato per via pubblica deve intendersi ogni strada che sia aperta al pubblico passaggio, comprese le vie di comunicazione tra fondi (dette vie vicinali), se possano essere liberamente percorse.
Nel caso di specie, risulta che la strada dove era avvenuto il fatto fosse aperta al pubblico transito, censita nello stradario comunale, e, ancorché non asfaltata d in zona agreste, fungeva da collegamento tra altre strade parallele di maggior traffico. Neppure sono state evidenziate restrizioni di accesso al riguardo.
Una strada, si legge nella
sentenza, rientra infatti nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del
passaggio esercitato jure servitubs publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico (cfr. Cass., n. 16864/2013).
Sparare troppo vicino alle case? È reato
Tutti requisiti risultano presenti nel caso in esame, non essendo neppure emersi divieti di accesso alla via dove il cacciatore era stato rintracciato a esplodere colpi di fucile con arma da caccia in ora ormai di avvenuta chiusura dell'attività venatoria.
Il provvedimento impugnato ha correttamente evocato i principi più volte ribaditi dalla Cassazione secondo cui la violazione, da parte del cacciatore, del divieto di sparare a distanza inferiore ai 150 metri in direzione di fabbricati destinati ad abitazione non costituisce illecito amministrativo, ma integra il reato di accensione ed esplosioni pericolose art. 703 c.p. (cfr. Cass., n. 14526/2012), sì da escludere la natura speciale delle norme in genere fissate in tema di caccia, e quindi la configurabilità di un mero illecito amministrativo.
Il provvedimento impugnato ha correttamente evocato i principi più volte ribaditi dalla Cassazione secondo cui la violazione, da parte del cacciatore, del divieto di sparare a distanza inferiore ai 150 metri in direzione di fabbricati destinati ad abitazione non costituisce illecito amministrativo, ma integra il reato di accensione ed esplosioni pericolose (art. 703 cod. pen.).